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Lingua e metamorfosi nei versi di Roberto Gaudioso

Squittii. Versi illeggibili per tutti e per nessuno  (Terra d’ulivi edizioni, 2025) di Roberto Lumuli Gaudioso è la riedizione rivista e ripensata dell’omonimo testo pubblicato per le edizione Oèdipus, del 2020. Il libro si divide in quattro movimenti come sono quelle della sinfonie classiche,  fin dalla struttura dell’opera, quindi, si intuisce l’importanza del suono nella poesia di Gaudioso, ma la particolarità di Squittìi è che l’elemento musicale non tralascia una riflessione coesa e singolare sulla funzione stessa dell’atto poetico. Dicevamo quindi quattro movimenti: dopo un prologo, i movimenti sono sulla sponda di casa, Mediterraneo e altre soglie, dal sud del Mediterraneo, transcorrere. Dai titoli, si evince come possiamo interpretare le quattro fasi, oltre che nel senso musicale, anche in quello geografico, relativi allo spostamento del soggetto lirico verso il Mediterraneo e ancora oltre verso i Paesi interni dell’Africa. Stando quindi ai contenuti del testo, possiamo già annotare una caratteristica, per certi versi unica nel panorama della poesia contemporanea: Gaudioso è un valente africanista e il libro diventa agli occhi del lettore una graduale fusione con la cultura, il paesaggio, e le lingue africane, in particolare le lingue bantu, in particolare con lo Swahili. I testi alternano, infatti, l’italiano con le lingue africane, oltre che con il tedesco, lo spagnolo e il dialetto napoletano. Questa operazione linguistica non è un espediente formale fine a se stesso. Il viaggio verso l’estremo sud diventa una graduale fusione o comunque immediata relazione con le culture antiche della Tanzania. Capiamo che Gaudioso si muove nell’orbita di quella che solitamente viene chiamata “letteratura post coloniale”. A questo punto possiamo quindi anche introdurre una terza riflessione sulla struttura di Squittii: i movimenti musicali, fisici, sono anche conoscitivi e mnestici.  Si passa da relativizzazione della cultura europea alla ibridazione con la vicina terra d’Africa attraverso un vero processo  rituale atto a cancellare il sé razionale ed eurocentrico. Lumuli è lo pseudonimo dato in Tanzania allo studioso Gaudioso e significa “fave di luce”; il prologo del libro è composto da un distico che recita “il mio corpo traduce sentieri/ e fave di luce”. L’elemento conoscitivo e centro del rito di passaggio, è appunto il corpo: non più visto come indizio della singolarità tenace dell’Occidente, ma soglia, limite, che si fa elemento carnale e percettivo. Qualche anno fa il libro L’io-pelle dello psicanalista francese Didier Anzieu, riassumeva tutta un serie di fenomenologie della percezione legate alla carne, scardinando  l’egotismo occidentale attraverso  la centralizzazione del margine: la pelle è il limite biologico, l’involucro, che apre all’altro incessantemente. Scrive Gaudioso nella poesia che chiude il primo movimento: “il mio corpo traduce e seduce il divenente/urlo nel mio dna scrivente”. Ma l’estrema disposizione all’apertura richiede ancora un movimento: aldilà della psicanalisi, ricordando con la fisica, che la materia è fatta di luce, e con essa il corpo così la carne e la pelle. Il punto di partenza è quindi un campo semantico di matrice europea, se non mitteleuropea, che si radica nella poesia più profonda di Paul Celan o a Rilke, autori finemente nascosti nei versi di Lumuli, per sparigliarsi nella volontà post-coloniale del “disfacimento dell’essere” di Glissant: “l’esistente rimane, quanto più l’essere si dissipa”, scrive il filosofo francese. L’altro grande riferimento della poesia di Gaudioso è certamente Arthur Rimbaud con il suo desiderio di spogliarsi della cultura razionalistica europea attraverso la migrazione verso l’Eritrea. Scrive Gaudioso: “i confini degli adolescenti/ brindano con luce e terra ma/gli adolescenti baciano tutti/ gli adolescenti odiano tutti/con tanta forza di arruolarsi/con tanta incoscienza di arruolarsi”. Versi che evocano i famosi versi del ribelle per eccellenza. Ma se il poeta francese, stando alla sua biografia, aveva un atteggiamento fortemente colonialista nei confronti dell’Africa, con Gaudioso avviene l’opposto. Il passaggio è il transcorrere, fase finale che sancisce la fusione.  L’elemento di passaggio è ora liquido, nella forma, a volte tragica, del Mar Mediterraneo o del liquido seminale. In questo movimento possiamo leggere i versi che recitano: ”la madre dell’acqua/avvelenato il primo seme nyanza/avvelenato il seno niger”. E ancora: “la porta l’ombelico/ nel Golfo flegreo: averno transizione e metamorfosi/ si passa nel sangue: ognun!/ per abbracciare i fratelli/ che non rispondono più/ muti ra e iside splendete lucentezza/ jangwa na mbalamwezi”. Nella stessa composizione leggiamo ancora: “se il Mediterraneo regge possiamo passare/ nel sangue onoriamo i corpi taciuti/ scintillanti lingue onoriamo/ tatam! finché c’è voce/ tatam!” Questi versi, tra i più belli e intensi del libro, indicano il passaggio del Mediterraneo, la rotta tragica che porta morti taciute sul fondo del mare. Ma lo stesso Mediterraneo è acqua da attraversare per abbandonare il proprio corpo per lingue nuove e antiche, e nuove visioni e nuovi suoni. Che il libro di Gaudioso sia un rituale di passaggio è chiarito dalla presenza di divinità, per lo più femminili, della tradizione yoruba e forse persiste un estremo legame con la nostra cultura se le grandi madri di Goethe, e del Faust, propiziavano il cerimoniale per l’abbandono dell’io a favore del mondo delle idee. Forte quindi è il concetto di sacralità presente in Squitii che si manifesta in canti e vere e proprie ballate cadenzate da un insieme di lingue e di suoni. Ed i topi in questo scenario sono quelli kafkiani che compaiono in realtà in una sola composizione che recita: 

tendere fin su verso le stelle 

canto 

un tamburo la mia pelle 

le mie parole sorci 

mi faccio brigante 

vesti femmine e petto villoso 

non canto che topi 

rossi topi 

come luce

Il loro verso indistinto è un richiamo aldilà dei generi, delle culture e delle lingue.

hai delle mani grandi sulla mattina

tra spalla e collo stretto mi tieni

sulla sabbia le gambe s’incrociano

senza meta e abbaia il cane

affiancarci in terre straniere

assaporandone la fonetica –

il ritmo dei versi

lu rusciu de lu mare –

ciò che essere possa

ciò che non conosciamo

il mio corpo traduce e seduce il divenente

urlo nel mio dna scrivente

ci riproduciamo per fare l’amore

si fracassa sul mio corpo e lo rifrange l’urlo

così l’ha emesso il corpo mio

presto di più

(Roberto Gaudioso)

Vincenzo Frungillo