La Furia Umana
  • I’m not like everybody else
    The Kinks
  • E che, sono forse al mondo per realizzare delle idee?
    Max Stirner
  • (No ideas but in things)
    W.C. Williams

Chronicles

Lingua e metamorfosi nei versi di Roberto Gaudioso

Vincenzo Frungillo sul libro in versi di Roberto Gaudioso

Qualche anno fa il libro L’io-pelle dello psicanalista francese Didier Anzieu, riassumeva tutta un serie di fenomenologie della percezione legate alla carne, scardinando  l’egotismo occidentale attraverso  la centralizzazione del margine: la pelle è il limite biologico, l’involucro, che apre all’altro incessantemente. Scrive Gaudioso nella poesia che chiude il primo movimento: “il mio corpo traduce e seduce il divenente/urlo nel mio dna scrivente”. Ma l’estrema disposizione all’apertura richiede ancora un movimento: aldilà della psicanalisi, ricordando con la fisica, che la materia è fatta di luce, e con essa il corpo così la carne e la pelle.

I materiali e la poesia. Da Frank Stella a David Hume

Toni D’Angela

A lungo la pittura è stata idealismo, sublimazione del materiale, trasfigurazione della materia, investimento soggettivo dell’oggettività. La pittura di Ryman è un “making something visible”. Ryman ha detto: “I do something with the paint, but I’m not painting a picture of anything”. Già il Modernismo l’aveva fatta finita con la concezione della pittura come rappresentazione, finestra albertiana attraverso la quale guardare il mondo e leggere narrativamente il suo significato.

Pensare, senza condizione. Conversazione con Federico Ferrari

Elisa Mancioli
Federico Ferrari

“And if when I pompously announce that I am addressed — To the imagination — you believe that I thus divorce myself from life and so defeat my own end, I reply: To refine, to clarify, to intensify that eternal moment in which we alone live there is but a single force — the imagination.” – William Carlos Williams, Spring and All (1923)

La piuma e il colibrì

Gino Frezza

Here di Zemeckis è una fortissima scommessa su stabilità, costanza del visivo e conduzione del racconto filmico, a fronte della sua continua mutevolezza interna, ritagliata dentro cornici che danno il legame che lo spazio detiene con la storia, con il cambiamento (architetture, costumi, tecnologie, mobilità, ma talvolta pure conflitti fra generazioni, feste, accidenti-incendi, differenze etnico-sociali, ecc.). Finestre visive su finestre visive che si mostrano da un solo angolo visivo e che tuttavia danno anima a un puzzle costantemente cangiante, legano il presente a un tempo che mostra le sue (spesso) inavvertite radici. 

Of roots and the void in-between

Elisa Mancioli
Michael Marder

I get why you are reluctant to give up on nature (the word), and I share the sentiment; it looks like it could be linked to our not giving up on nature itself — however wide the meaning of this statement. If, pragmatically, meaning is what we’re prepared to do, is the way we respond, we need to act with nature and use nature responsibly, taking into account those vital blind spots (this is what should make the distinction between right-wing and leftist praxis). Starting “from below”, from our day-to-day, our immediate proximities, with the creation of spaces of growth that are critical enough that they escape capitalistic profit and progress logics, and with widening our understanding of birth and birthing, consequently of families and kinship, with very practical struggles as well as theoretical ones.

Intersezionalità, rappresentazioni, posizionamenti. Una conversazione a partire da Caliban and the Witch di Silvia Federici

Elisa Mancioli
Carlotta Cossutta

La prima cosa l’ha già detta lei: un approccio materialista che non sia per forza di cose ortodosso, ma che ci obblighi a guardare alle condizioni reali di vita, a come utilizziamo il nostro tempo, alle catene globali della cura e quindi alle relazioni di oppressione che noi stesse costruiamo con altre donne. Guardare le condizioni materiali significa uscire dalla pura dimensione culturale, che rischia di cancellare le differenze tra donne e allo stesso tempo di non vedere alcuni dei problemi più pressanti, che non sempre sono ciò che ci immaginiamo che siano, o ciò che ci rappresentiamo.