“…
Le armi di Ettore
e il corpo di Ettore
sulla pila funeraria
perché splendesse,
perché il figlio sapesse,
fosse luminosa la memoria
sotto le mura di Troia,
da lì la Storia
e la pietà fraterna
per le dispersa gente
ed Anchise sul corpo di Enea
e il figlio che lo reclama sotto la terra
e Antigone deposto sulla terra
e il sacro sepolcro vuoto
…”
Pensa che ad essere donna le sia toccata piangere la mancanza
e non mancare agli occhi dell’eroe, e il corpo, la sua assenza,
la ferita riportata sul campo di battaglia.
“…
Ora, nell’ora buia,
rovina nella fibra digitale,
scompare, e con te
le tue dita di sposa,
la tua voce generosa,
la luce della pelle
che mi ha insegnato
il calore delle cose.
Avrei voluto per te la morte
dell’eroe, salvarti
dalla decomposizione
…”
Ricorda la cimice biologica che fora la vista della vita intatta,
la cancerosa rivolta della materia, ma la coscienza è vendetta
e il sudario disegna la matrice, il nero della scena, il calco perenne.
“…
E nella cicatrice il dolore
deposto tra me e il mondo,
ho imparato da quella
a filare la tela che ti riporta
sulle sponde di Ilio.
Ti perdo per l’eterno
che immagino nel tempo
e ti vedo consumarti,
sciogliere il ricordo
in un fiume infernale.
Sei biologica soluzione
rapita da Achille,
portata nel manto scuro
e i sassi sulle tombe
dimenticano la mano che le pose.
Come lasciarti andare
se non c’è posto dove tornare?
La morte è la sola parola
che non lascia nomi sulla porta
…”
Appunti per una recensione:
La parola morte è mai citata nel film? Poche volte. È un film sul corpo, sulla natura biologica dell’uomo, sulla decomposizione e sulla funzione dell’arte. Tipica tematica di Cronenberg: la macchina che si insinua nella carne, la macchina da presa che si fa sinolo di carne e tecnica. Ma qui c’è una raggelata tenuta manierista che contrasta con una visione più intima del cinema. Se nei primi film la tematica era legata ad una futuribile e possibile comunione, qui la carne non resiste all’utopia tecnologica: il corpo si disperde nel manto digitale. La sola cosa concessa è osservare. Vincent C. incanutito assomiglia al regista, è il suo alter ego, il suo Io raddoppiato e rovesciato nello specchio della ripresa filmica; è un chiaro film auto-bio-grafico sul senso della perdita dopo la morte della moglie e della sorella.
- E ti cerco in sembianti,
- replica di te stessa,
- un’eco della tua presenza,
- franta nella sequenza,
- che si ripete, si rigenera.
- Ancora lei e la sorella,
- ancora lei e la donna cieca
- a cui sottomettersi
- come un cane da guida,
- come una spalla perfetta
- nella carne della ferita,
- come fosse la prima,
- la donna che torna
- che visse un’altra volta.
- Chi ti ha fatto a pezzi,
- chi ti ha mutilata,
- chi ti ha presa nel montaggio,
- chi ti ha fatto cinema, sequenza,
- chi sposa meccanica avanzata,
- ti ha poi liberata nell’Averno
- che dimentica me, che guardo
- dall’altro luogo luminoso.
- Cosa resta se non si ricorda
- la forma imprigionata
- nella sindone cibernetica?
- Cosa resta se l’arte
- è solo un’inutile replica?
- Scrivilo tu, ora, nella pietra.